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Olivetti chi?

Olivetti chi?

Storia di un imprenditore visionario

Adriano Olivetti

Imprenditore, intellettuale, visionario: questi sono solo alcuni dei termini che accompagnano la figura di Adriano Olivetti

Eppure è difficile racchiudere una personalità così importante all’interno di singole definizioni, perché egli fu un uomo poliedrico, in grado di conciliare il lavoro con le proprie passioni,  e di coniugare le logiche del profitto con l’attenzione verso i lavoratori, diventando pioniere di un modo di fare impresa che tutt’oggi si rivela estremamente innovativo.

Una vita per la fabbrica

Piemontese, figlio di Camillo, imprenditore che nel 1908 fondò la prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere, in seguito alla laurea in Chimica industriale conseguita al Politecnico di Torino, nel 1924 entrò nella fabbrica di famiglia come apprendista operaio.

L’anno successivo, sotto invito del padre, si recò negli Stati Uniti per studiare i metodi produttivi e l’organizzazione aziendale delle fabbriche americane, una sorta di grand tour formativo. Da tale esperienza imparò la tecnica dell’organizzazione industriale e capì che, per trasferirla in Italia, doveva essere adattata e trasformata.

Perciò, ritornato i Italia decise di avviare un processo importante di internazionalizzazione e modernizzazione della ditta del padre, mediante il ripensamento della struttura organizzativa, attraverso un modello d’impresa con elevati standard economici, ma che allo stesso tempo permettesse di tutelare l’ambiente fisico, perseguire finalità sociali e garantire condotte eticamente integre.

Dal 1932 divenne direttore generale dell’azienda e la guidò per circa trent’anni, fornendo un forte impulso di modernizzazione e cambiamento che portò la Olivetti a diventare un marchio italiano famoso in tutto il mondo.

Negozio Olivetti

Il lavoro e la persona

I successi economici dell’azienda sono noti ai più, ma non tutti sanno che, andando al di là delle logiche del mero profitto, Olivetti credette fermamente nell’idea del lavoro come cura della persona, le cui finalità non sono solo materiali, ma anche morali.

Riuscì infatti nell’ardua impresa di attuare una sintesi tra i sistemi organizzativi di stampo tayloritsta, fondati e finalizzati al raggiungimento dell’efficienza produttiva, e l’attenzione verso le condizioni dei lavoratori, sia dentro che fuori l’impresa.

Olivetti infatti, circondato da intellettuali, psicologi, architetti e urbanisti, non fu solamente un grande imprenditore, ma pure un visionario: credeva fortemente nella necessità di impegnarsi in prima linea nei confronti della comunità territoriale e che, per far ciò, fosse necessario partire dalla base, ossia dalla creazione di servizi sociali aziendali per i dipendenti delle sue fabbriche.

All’interno dei suoi stabilimenti incoraggiò il percorso di formazione dei suoi dipendenti e delle famiglie, sia dal punto di vista umano che professionale. Oltre alla presenza di asili nido, scuole materne, scuole professionali, colonie e campeggi per i figli dei dipendenti, vennero istituiti servizi di accompagnamento al pensionamento, consultori e ambulatori medici.

Asilo nido di Borgo Olivetti

Credendo fermamente che gli ambienti di lavoro fossero in grado di influenzare sia la produttività che il benessere dei lavoratori,  Olivetti si rivolse a celebri designer e architetti per realizzare diverse sedi delle fabbriche e dei punti vendita. Le fabbriche di Ivrea e Pozzuoli, ad esempio, furono strutture di pregio, con reparti pieni di luce, giardini e fontane, biblioteche, cineforum e palestre aperte all’utilizzo da parte dei dipendenti.

Stabilimento Olivetti di Ivrea

Efficienza tecnologica, capacità competitiva, ma anche estetica del design dei prodotti e degli stabilimenti stessi, sono tanti tasselli che avevano come finalità ultima lo sviluppo economico del territorio. Tale sviluppo però poteva essere realmente possibile solo prestando attenzione agli equilibri sociali e alla crescita culturale e professionale dei lavoratori

La grandezza di Olivetti risiede nell’esser riuscito a far dialogare l’impresa, con le sue logiche di mercato, con la cultura e le arti, realizzando, seppur per pochi anni, un modello di azienda in grado di coniugare formazione professionale e diffusione della cultura, producendo non solo ricchezza e occupazione, ma anche cultura e bellezza, e puntando su una buona qualità della vita.

La teoria e la pratica

Lo “stile Olivetti” caratterizzò non solo le macchine da scrivere e gli arredi per l’ufficio che venivano prodotti nelle fabbriche e esportati in tutto il mondo, ma fu proprio della fabbrica stessa, nella modernità della progettazione (la fabbrica di vetro di Ivrea), nella grafica pubblicitaria innovativa frutto di importanti collaborazioni con artisti del tempo e  nei pionieristici servizi sociali per le famiglie dei dipendenti.

L’unione di questi aspetti è frutto di una profonda riflessione di Olivetti che credeva fermamente nell’idea di quella che egli definiva la Comunità.  L’industria, come la Comunità, doveva fondarsi sui principi di coordinamento ed efficienza, ma anche nel rispetto della persona umana, della cultura e dell’arte. Le sue importanti riflessioni teoriche nacquero con l’intento di ritrovare una trasposizione pratica nell’azienda, che si rivelò perciò una sorta di laboratorio permanente.

L'importanza della formazione

Il progetto di modernizzazione aziendale fu caratterizzato da una forte vocazione pedagogica.  Olivetti riuscì così a trasformare l’esperienza di lavoro in fabbrica, notoriamente alienante, in un occasione di crescita formativa , sia dal punto di vista professionale che culturale.

Egli non considerava i propri dipendenti alla stregua di ingranaggi della fabbrica da sfruttare e da sostituire una volta divenuti obsoleti, ma credeva fermamente che la crescita dell’azienda non potesse prescindere dalla crescita dei propri lavoratori e che, viceversa, anche i lavoratori potessero trarre vantaggio dalla crescita dell’azienda. A tal proposito, nel corso di un’intervista, quando un giornalista gli chiese perché mai egli non addestrasse gli operai mentre lavoravano, realizzando così notevoli risparmi, egli rispose semplicemente che «gli animali si addestrano. Le persone si educano».

Le fabbriche di bene

Olivetti in fabbrica con alcuni dipendenti

Coinvolse personalità del calibro di Moravia, Pasolini, Terzani, (solo per citarne alcuni) nelle iniziative culturali organizzate nelle fabbriche, con il nobile intento di coniugare il miglioramento delle condizioni di lavoro nei reparti produttivi con la qualità della vita delle singole persone.

La fabbrica diveniva così  un luogo di crescita individuale, in grado di offrire ai dipendenti strumenti che, a causa delle loro condizioni sociali, non avevano potuto avere in precedenza. Secondo Olivetti infatti, solo così il lavoro delle fabbriche sarebbe potuto diventare un importante strumenti di riscatto: «perché il lavoro è tormento dello spirito quando non serve a un nobile scopo».

Egli definì le sue fabbriche “fabbriche di bene”, in quanto fondate sulla valorizzazione della persona.

Alla Olivetti si perseguì inoltre la partecipazione dei lavoratori alle decisioni inerenti i servizi aziendali, attraverso il Consiglio di gestione che, caso unico in Italia, sopravvisse all’inasprirsi del conflitto industriale della fine degli anni Quaranta e perdurò fino al 1971.

Ieri e oggi

Olivetti morì improvvisamente nel 1960, a causa di un’emorragia cerebrale, mentre viaggiava in un treno diretto a Losanna. Con la sua scomparsa, l’esperimento olivettiano andò via via affievolendosi, fino a scomparire del tutto.

Oggi, nonostante gli immensi progressi fatti nell’ambito delle tecnologie, assistiamo a una sempre maggior negazione dei diritti dei lavoratori, e all’esaltazione di grandi aziende di successo  che fatturano miliardi, ma che d’altra parte sono fondate sullo sfruttamento della manodopera e, più in generale, dei dipendenti.

Al contrario, quella di Olivetti fu un’azienda pensata con i lavoratori e per i lavoratori, in cui tutti ebbero un ruolo e un’importanza nella creazione di un marchio che rappresentò l’Italia in tutto il mondo.

Olivetti non fu solo un grande imprenditore che riuscì a ricavare grandi profitti, ma fu soprattutto un grande uomo che credette nell’importanza del lavoro come strumento in grado di dare dignità all’uomo.

Un buon punto da cui partire, ancora oggi.

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